domenica 3 gennaio 2010

L’uomo nel rapporto con l’Altro e con le Istituzioni

Quando parliamo di politica, di società e di istituzioni prendiamo queste definizioni simboliche come paradigmatiche, ma che per lo più significano cose quasi identiche o sovrapponibili.
In realtà, quando poi si vanno ad approfondire le tematiche, punto per punto, ci troviamo a dover riconoscere situazioni molto diverse da quelle immaginate.
Se prendiamo per esempio la definizione di “universalismo dei principi repubblicani” non teniamo conto che in questo modello politico-culturale, l’uomo (già “cittadino”) è inteso come “soggetto ragionevole” (per cui prevalgono significativamente le qualità cognitivo-intellettive ed analitico-deduttive) che ha in sé “l’autorità di dover essere”.
In altre parole. Il soggetto è libero di “dover scegliere” il suo massimo impegno per sviluppare il Sé e l’organizzazione sociale.
Siamo di fronte ad una impostazione ontologica che si incentra sul fondamento cognitivo della morale fondato su:
- l’empirismo – che cerca le dinamiche che proiettano oltre l’egoismo, perseguendo il bene comune superiore agli interessi particolari;
- il contrattualismo – che dovrebbe permettere una giustizia regolatrice degli interessi dei singoli individui;
- una “tradizione” immanente per ogni comunità che, come modello aristotelico, comporta una “intesa morale”, una sorta di “sé migliore” che sostiene una “giustizia naturale” che supporta la solidarietà ed una “aspettativa di pari trattamenti tra i singoli”;
- una “visione kantiana” che intuitivamente dovrebbe portare tutti gli individui a “comportarsi ragionevolmente”.
Su queste idee si fonda la visione socio-politica di J.Habermas che idealizza una “comunità morale inclusiva”, fondata su processi ideali di “confronto comunicativo” attivati tra i diversi gruppi sociali senza pregiudizi reciproci.
J.Habermas critica la posizione di Rawes che sostiene il carattere politico della giustizia come equità, supportando una preminenza data ai diritti liberali che fanno ombra ai processi più decisamente democratici.
Per Rawes i diritti individuali sono come gusci che difendono e tutelano l’autonomia privata e, quindi, l’autonomia pubblica si erge a difesa di una giustizia che difende il privato.
Habermas sostiene, al contrario, un “repubblicanesimo kantiano” per il quale tutti i cittadini devono considerarsi collettivamente autori delle leggi, alle quali si sentono vincolati come per una “ragione istituzionalizzata”.
Questa idea ricalca le tesi totemiche di Freud per le quali il “Totem” diventa simbolo di una legge che è “legge d’amore”: una adesione al “volere del padre buono che rinuncia ai suoi poteri di capo donando un “cognome” come simboli di una alleanza.
Una funzione affettiva del “funzionamento sociale”, da un punto di vista politico-economico, si scontra con la concezione politica dello stato in quanto possiamo considerare una “concezione repubblicana” contrapposta a quella “democratica”.
a) Lo schema “repubblicano della politica” si fonda sulla concezione di un soggetto (che, per altro è priorità borghese e capitalistica, ben riassunta dall’idea di una Stato –per es. gli U:S:A.- che dona straordinarie opportunità per tutti) e sulle basi psico-sociali caratteristiche della struttura protestante dei “padri fondatori”.
b) Per contro, lo “schema democratico” riconosce un background politico-sociale nel quale predominano le difficoltà di una maggioranza poco rappresentata che non trova il modo di affrontare situazioni di insicurezza, frustranti, difficili, complesse ed anche spesso contraddittorie. Diventa anche sempre più evidente e corroborato dalle esperienze quotidiane di sconquassi economico-amministrativi e dal franare di imperi bancari, industriali e fondati sul facile uso degli investimenti.
Queste considerazioni portano J.Habermas a fare un riferimento anche ai concetti di sovranità (interna ed esterna), di cittadinanza (separazione della attività amministrativa da quella economica) e di diritto (autoidentificazione collettiva ed integrazione sociale).
Una tale complessità, acuita enormemente dalla globalizzazione e dallo spostamento di grosse entità migratorie, porta a determinare aspetti nuovi ed anche imprevisti di ambiguità connessi con spinte nazionalistiche, di inclusione e di accettazione, ma anche di chiusura, di rifiuto e di esclusione.
Schmitt sviluppa, per questo, un concetto di “democrazia popolare” o di “democrazia dello stato di diritto” nella quale il funzionamento dipende dalla auto-determinazione di un gruppo etnico capace di definirsi come Nazione.
J.Habermas, al contrario, declina la triade politico-sociale in una “versione comunicativa del repubblicanesimo” (non etnocentrica)

sabato 2 gennaio 2010

LA TIMOLOGIA DELL’AMORE

Le dinamiche che regolano le espressioni sentimentali dell’amore, da sempre, sono oggetto di indagine psicologica e filosofica, oltre che da considerazioni antropologiche, sociali ed anche psicoanalitiche.
In questo ordine di idee, non sono di poca importanza anche le considerazioni sulle differenze e sul valore dell’amore in contrapposizione all’amicizia.
In un importante libro, “Ricominciare dal Sé”, il filosofo e pensatore indiano Osho Rajneesh dà una netta preminenza all’amicizia poiché:
- l’amore lega, mentre l’amicizia dà libertà:
- l’amante pretende che l’altro non ami nessuno al di fuori di lui;
- un uomo può avere migliaia di amici perché l’amicizia è esperienza non solo profonda, ma anche “vasta”;
- l’amicizia scaturisce dal “centro più profondo della vita” e, per questo, diventa “… la strada maestra che conduce al divino”;
- l’amore può finire, l’amicizia non finisce mai perché un vero amico non può diventare “un nemico”, per nessun motivo.
Queste considerazioni sono ben lungi da dare una risposta chiara al quesito e meritano una particolare considerazione le elaborazioni fondate su quanto derivato dal pensiero del grande filosofo greco Eraclito. Questi (tradotto nella sua essenza logica da Osho in “La armonia oculta”), con la sua particolare capacità a dare risposte concise ed anche cariche di una “ricchezza-profondità poetica, ha sottolineato come:
- l’amore possiede una “armonia occulta” che si libera dagli aspetti superficiali e sociali che, per altro, possono indurre ad errore;
- potremmo dedurre che l’amicizia si fonda su una “armonia visibile”, superficiale e poco contraddittoria;
- per Eraclito, propenso a vedere nella contraddizione e nel divenire delle cose (più che nelle cose stesse), l’amore è carico di una “armonia profonda e verace” che lo porta a differenziarsi da una … semplice amicizia;
- il “… valore dell’amore” starebbe proprio nel suo carattere di “ambiguità”, di contrasto tra amore e odio, di “armonia tra figura e sfondo” (… che sottolinea una visione gestaltico del problema);
- il bianco si vede più bianco se posto su uno sfondo scuro e questo rapporto ambiguo è quello che dona valore e ricchezza, senso ed “armonia”;
- l’amore è eterno solo se tiene conto che “… solamente il cambiamento è eterno” e, quindi, l’uomo trova un vero senso nell’amore se si pone “… sempre nuovo”, come se ogni giorno potesse rinnovare il significato della cosiddetta “… luna di miele”;
- in questa “logica ambigua”, Eraclito vede, come “obiettivo della vita”, la possibilità di “… mescolare gli opposti” per creare “dinamiche di vitalità” che riflettono un cambiamento, un divenire, una … evoluzione;
- se non ci sono cambiamenti, la vita è statica e tende ad assomigliare ad una “morte”. Solo l’amore, nelle sue dinamiche ambigue, ma ricche di verità, riesce a dare “… senso alla vita”;
- tutte le esperienze acquistano vitalità se vengono approfondite attraverso la “… tensione con un contrasto”;
- l’amicizia non è dunque uno “status”, ma un “processo” in continua trasformazione, proprio perché “… la vita è movimento”;
- nella contraddizione e nell’ambiguità l’amore può rinnovarsi;
- senza un poco di odio e di ira, l’amore diventa “passione” che è “incoerenza”, mancanza di armonia: di quella armonia occulta che è reale e profonda, ben diversa dall’armonia visibile che, nella sua superficialità, è del tutto “falsa”;
- c’è nell’amore una sorta di “religiosità” che lo distoglie dal “puro senso morale” che è solo superficialità, regola, prevedibilità, imposizione;
- Eraclito sottolinea come una “moralità” non possa comprendere l’amore, proprio perché obnubilata dalle regole dalle imposizioni, dalla “normalità”, da una armonia superficiale che è anche inutile e falsa;
- l’armonia occulta dell’amore lo porta ad essere come un … grande fiume che scorre verso il suo obiettivo che è quello di raggiungere l’oceano;
- l’amicizia è ricerca di codici, di regole di … uniformità che le impediscono di raggiungere un “obiettivo di verità”, come invece succede con l’amore;
- l’amore è un connubio di corpo e di spirito, di energia e di lentezza, di tranquillità e di contrasti che, nell’insieme, costituiscono una “umanità”, un senso di vita che è la vita della vera virtù, dei valori, del rispetto reciproco che permette di ricercare quotidianamente un … nuovo e luminoso inizio;
- per amare non basta la coerenza, un senso morale, una prevedibilità legata … “legge del patto o del giuramento”;
- l’amore si arricchisce nell’opposizione e nell’incontro, nell’ira e nella compassione, nella discordia e nella ricerca di un nuovo e più efficace assetto;
- l’amore non si trova nella “tranquillità delle leggi dell’amicizia”, ma nell’incontro-scontro che è anche un segno della “… partecipazione di un corpo, di una passionalità che si esaurisce nell’estuario, nel raggiungimento del fine, dell’obiettivo, della … speranza di un “nuovo sorgere del sole”;
- l’amore è tensione, come l’arco che è pronto a scoccare la freccia verso un preciso e chiaro obiettivo.

Nell’amore non ci sono menzogne, lo spirito libero trova la sua “verità” nel corpo, in quella dimensione che è la logica essenziale della vita, per la quale l’essere si trasforma in “incontro” e così si tracciano le linee trascendenti del divenire e della crescita.
È questo il senso di un incontro-intreccio che racchiude in sé la dimensione umana di una “evoluzione” che basa la sua forza nell’assemblare il corpo e lo spirito, le emozioni-affetti alle logiche razionali, trapassando i limiti dell’arte per trovare la verità ineluttabile dell’uomo spinto alla ricerca di una logica che è una trasformazione totale.

Nell’amore (come succede considerando il sacro ed il profano, ma anche il laico ed il pagano) si rappresenta un sacro ed un pagano che hanno significato solo nella loro “unione”. L’amore è dunque “unione di parti diverse”, “unione di distinti” (… mentre nell’amicizia, l’unione è tra parti uguali, legate da una intesa).
Nell’amore c’è dunque una “… ricerca dei punti di contatto”, mentre nell’amicizia c’è un aspetto di “adesione” che significa anche sovrapposizione … che riguarda punti di vista, gusti, ecc.
L’amore non esiste se non nella poliedrica vicinanza di “soggetti-oggetti” che mai devono perdere la loro individualità.
Interessante è considerare l’amore come frutto di esperienze, momenti diversi che moltiplicano, arricchiscono, generano un “… legame multiplo e molteplice che non è mai però simbiosi”.
Il sacro ed il profano significano anche “terreno e celestiale”, “corpo e anima” e, proprio per questo, non è sublimazione dal momento che il terreno è corpo, contingenza, spessore … palpiti, passione, esaltazione … oltre che placida spiaggia dove “… riposare”.
Corpo e spirito sono le parti che si “… uniscono in una poetica” nella quale le parole si fondono ed assumono significato nell’azione e non nella … spiegazione (dare spiegazioni è pura razionalità), nel “movimento” che significa momenti successivi, esperienze, memorie, speranze, palpiti e … immaginario. (… terzo polo tra reale e simbolico).
Questo non è “immaginazione”, ma rievocazione, creare una “ricchezza” che è un cambiamento continuo che non si esaurisce e si compie nel “… trovare un determinato accomodamento nel senso della “ ricerca per il domani” … per un altro giorno.
L’amore è un libro che si legge dalle due parti perché è fatto di memorie e di sogni … non frammisti, ma “visitabili” continuamente in “… momenti scelti dal soggetto … da ognuno dei due indipendentemente”.
Le immagini che nei due protagonisti sorgono, non sono sovrapponibili (come nell’amicizia), ma … sono capaci di “rendere vivi ogni momento, vivace, … inaspettato e sorprendente come una “poetica”.
L’amore è un viaggio tra … gli stati d’animo nei quali il corpo non sublima, ma si … dilata, trasformandosi in “corpo della poesia”. L’amore è un libro scritto a quattro mani, nel quale le correzioni, i cambiamenti di stile, le abrasioni e le sottolineature sono la ricchezza stessa del movimento poetico.


L’eredità di Osho Rajneesh
http://www.cesnur.org/religioni_italia/g/giainismo_02.htm
Rinascimento-idea: http://www.rinascimento-idea.net
Renacimiento-idea: http://www.renacimento-idea.com

Papa, aggressione-abbraccio

Papa, aggressione-abbraccio: amore – odio – psicopatologia.

Di fronte al fatto di cronaca che ha visto Susanna Maiolo aggredire Papa Benedetto XVI mentre si avviava, in San Pietro, a celebrare la Messa sull’Altare maggiore, tutti ci poniamo una quantità di domande soprattutto, poi, se si considera che il gesto sconsiderato è stato ripetuto esattamente alla distanza di un anno.
Lo psicoterapeuta svizzero, Rolf Kessler, che segue la ragazza da molto tempo, in una intervista ha commentato: “Posso dire che sono rimasto molto stupito dalla notizia e non so dire cosa sia successo in questo anno e mezzo”.
Rinchiusa in ospedale per un TSO, la ragazza ha dichiarato “Volevo solo toccare il Papa, non volevo fargli del male”. Nell’ambiguità dell’osservazione (aggressione o atto d’amore) si giustifica l’idea dei medici curanti “… sarà difficile tirarla fuori da quel buco in cui si è cacciata”, ma resta lo sbigottimento della gente che non riesce proprio a darsi ragione del perché possano succedere certe cose, certi comportamenti tanto gravi che si collocano tra un atto di fede ed un violento senso di “bisogno”.
Dopo l’attacco perpetrato lo scorso anno in identiche circostanze, la povera Susanna, in terapia psicologica nella tranquillità della cinica svizzera, sembrava del tutto normalizzata … non aveva più dato segni di disordine o creato problemi.
Susanna è stata definita “personalità fragile” e “… prigioniera delle sue ossessioni”, dai suoi terapeuti che credevano di “… essere riusciti a riorganizzare la sua mente”, ma, evidentemente, il bisogno imperioso, ossessivo ed implacabile è rimasto dentro di lei.
È stato fatto un riferimento ai “miracoli di Gesù”, quando storpi, ciechi ed ossessi cercavano di toccare le vesti del Signore nella “… sicurezza che avrebbero strappato la salvezza, la guarigione e la salute.
Da questi fatti possiamo pensare a Susanna come una persona ossessionata dalle sue paure, da angosce tanto forti ed insopportabili da arrivare a “… chiedere il miracolo”. Per questo “toccare il Papa” può veramente essere visto come l’estremo tentativo, l’estrema certezza di “potersi curare! Che è “… liberarsi dalle ossessioni … grazie all’aiuto del Signore”.
Non potremo sapere mai di queste ossessioni (a meno che non ce le racconti lei stessa), ma l’esperienza clinica ci può aiutare a dare una risposta ai quesiti, a cercare una giustificazione ai comportamenti assurdi, inconsulti, pericolosi e … reiterati.
Se il gesto significa “richiesta d’aiuto” possiamo dire che la psicopatologia è dominata da una idea ossessiva: solo il Papa può salvarmi, solo “abbracciandolo” posso ottenere il miracolo, posso … costringere la sua potenza, la capacità insita nel suo ruolo sacro a guardarmi e a “curarmi”.
L’idea di poter “costringere l’altro” a usare la sua “potenza” per salvare il soggetto che ha bisogno ha in sé il significato profondo di “… costringere l’altro ad amarmi” e questo diventa il “segno” di un “profondo (inconscio) senso di non essere mai stata amata”.
Il femminile si giustifica perché questa “sindrome” è caratteristica delle ragazze (nei ragazzi questa problematica porta a comportamenti oppositivi ed aggressivi nei confronti del padre).
In questi casi, un altro aspetto della sintomatologia è la “difficoltà di amare”: la ragazza non riesce più a vivere sentimenti d’amore nei confronti degli altri, di tutti gli altri, proprio perché l’Altro viene svalorizzato e ritenuto ben poca cosa, proprio perché … giudicato incapace di comprendere l’angoscia del soggetto, il suo profondo bisogno di ricevere attenzione, comprensione ed amore.
Tutto questo porta a problemi di isolamento e di continue recriminazioni ed accuse nei confronti dei coetanei (maschi e femmine) e, quindi, l’impossibilità di costruire vincoli validi e duraturi.
Il rapporto con l’Altro è sempre dominato da:
- un senso di poter convincere l’Altro delle proprie ragioni (ritenute valide ed incontrovertibili);
- la “necessità ossessiva di costringere l’Altro ad assolvere i bisogni, i desideri e le aspettative del soggetto;
- l’idea che basta poco per raggiungere i propri obiettivi (dominio sull’altro);
- l’atteggiamento ed i comportamenti che spesso sembrano isterici, senza però trovare quella forte sfumatura di ordine sessuale.
Questa “sindrome” è stata anche chiamata”sindrome della tomba” proprio perché il soggetto si vede a vivere in una specie di “sepolcro”, nel quale può salvare i propri affetti profondi e dal quale non può uscire se non “… ponendosi una maschera che nasconda al mondo la propria cattiveria e perfidia”. “Se l’altro vedesse la mia mostruosità … lo perderei definitivamente, perché … scapperebbe inorridito!”.

In questi casi la terapia non può essere altra se non una psicoterapia che si può anche dire specifica perché deve risultare ferma, ma anche dolce e accogliente; deve mirare a ricostruire il senso di sé, liberando il soggetto da profondi sensi di incapacità e di inadeguatezza; deve portare a ristabilire i vincoli sociali sulla base del riconoscimento del valore dell’Altro; deve essere in grado di contenere le crisi emotive e di angoscia, oltre a bloccare le crisi di opposizione ed i aggressività che minano profondamente i rapporti interpersonali anche all’interno della famiglia.
Il lavoro psicoterapeutico si basa anche sul fatto di riuscire a stabilire un forte transfert positivo, capace di far transitare i sentimenti d’amore e al volontà a “… salvare l’altro dai propri attacchi distruttivi”, segnati dalla volontà di costringere l’Altro a sottomettersi alla volontà del soggetto, alla sua angoscia, al suo … insaziabile senso di bisogno che, nell’insieme formano una deriva delirante e psicotica.

Romeo Lucioni

L’odio come pulsione distruttiva dell’Io.

L’odio viene riconosciuto come “pulsione primitiva” e, come tale, “costituzionale”, evidenziandosi come “elemento psichico” che precede lo sviluppo psico-mentale.
Proprio per queste caratteristiche, l’odio è anche riconosciuto come “… struttura strutturante” anche se ha in sé una forza, una tensione ed una energia che si sviluppano in “senso distruttivo”.
Si potrebbe anche dire che tutti gli uomini hanno in sé la capacità di odiare che però viene controllata dallo sviluppo psico-mentale, nei suoi aspetti timologici che rispecchiano lo “… sviluppo affettivo e dei valori”.
Ana Maria Gomez parla di “passione dell’essere che disturba l’essere nella sua essenza”, che porta a disarmonizzare la struttura identificatoria espressa nella frase “… un giorno anch’io sarò così”, per sostituirla con il sentimento che dice “…perché Lui e non Io”.
Questo processo istintivo precede la costituzione dell’Edipo e si organizza come “sentimento libidico primitivo che caratterizza le dinamiche narcisistiche primordiali, fondate sull’egocentrismo e l’onnipotenza. Si tratta di sentimenti che tendono a bloccare le paure di inadeguatezza e di inefficacia, che affettano profondamente l’organizzazione dello psichismo nella sua globalità.
Da questo punto di vista, l’odio può essere inteso come un sentimento patologico che emerge da una struttura patogena.
Queste dinamiche alterate fanno riferimento ad una “pulsione” che è una “tensione incontenibile” che spinge ad una “azione risolutiva” come è quella che si evidenzia nel “cane cacciatore” (o la tigre o il leone) nel momento nel quale raggiunge la sua preda.
Si evidenzia anche come una “pulsione sadica” che, nella tensione aggressiva e violenta, scarica una “frenesia incontenibile” che pone il soggetto completamente al di fuori delle dinamiche simboliche (rappresentazioni o atti mentali) dal momento che si sviluppano totalmente come “istanze inconsce”.
L’odio, anche quando si cerca di giustificarlo come scelta razionale, è del tutto irrazionale , tanto da essere messo in relazione con le espressioni ossessivo-compulsive, isteriche o fobiche.
Come istanza inconscia, l’odio viene anche considerato alla stregua di una “spinta auto-distruttiva”: si odia l’altro per non agire il sentimento inconscio contro se stessi.
L’odio sposta il soggetto al di fuori di ogni senso di valore, in uno spazio dove non si giocano le leggi della vita e dell’esistenza, ma solamente le “pulsioni” più primitive che non hanno ricevuto quei contenimenti che vengono indicati come “sviluppo, crescita, umanizzazione”.
Nello spazio dell’odio, non si struttura nessun “… progetto di vita”, neppure quelli riferiti al soggetto, perché la tensione dell’odio presuppone “.. il timore dell’odio dell’altro che agisce cercando una vendetta”. L’odio, in questa logica, impedisce lo sviluppo psico-affettivo proprio perché, come succede nell’autismo, il “… desiderio distruttivo implica la formazione di una forza uguale e contraria che è “… aspettarsi una ritorsione”.
Questi sentimenti si auto-mantengono in maniera circolare e portano al … blocco mentale, impediscono lo sviluppo della mente nelle sue dinamiche timologiche”.
Proprio per questi meccanismi, l’odio non si esaurisce con la morte, … necessita di uno sterminio, di una umiliazione, di un annullamento totale e globale che accompagna quindi anche una “… svalorizzazione assoluta, una denigrazione, un diniego totale dell’essere”.
L’odio arriva a perseguire l’esclusione dalla storia, la negazione di ogni diritto, di una genealogia, di ideali, di principi e fondamenti etici.
L’odio supera anche le dinamiche del sado-masochismo, proprio perché, nella frenesia distruttiva, nella pulsione di morte, l’altro non può esistere perché … non ha diritto neppure dell’esistenza e, da questo, si comprende come l’odio sia una pulsione autoriferito, nella quale solo il soggetto ha diritto e tutte le funzioni psichiche si esauriscono all’interno del proprio mondo psichico patologico e coartato, tanto atrofizzato da non poter più uscire dai limiti personali ed autoriferito per timore di “perdersi” di “dissolversi nel nulla e nell’insignificanza”.
In questo mondo riduttivo e coartato, nulla più ha valore, né l’ironia, né il cinismo, né una prospettiva sadica. Il mondo dell’odio è strutturato su dinamiche estetiche, nelle quali il soggetto vede e valorizza solamente se stesso e, in questo modo, si esaurisce e nientifica ogni ideale, ogni affetto, ogni sentimento che non sia quello dominante del … bisogno di distruzione, … bisogno di morte.

Romeo Lucioni